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«I mostri» compie 60 anni: Dino Risi ridefinisce i codici dei film a sketch – Corriere della Sera


di Filippo Mazzarella

Un collettore di umori popolari in cui la forma del prodotto commerciale di «evasione» inizia a mutare

Dopo alcune proiezioni preliminari di test dei giorni immediatamente precedenti, il 31 ottobre 1963 esce sull’intero territorio nazionale «I mostri» di Dino Risi. È un film a episodi (ben venti, di durata variabile; alcuni “istantanei” e altri più strutturati) che a poco più di dieci anni da «Altri tempi» (1952) di Alessandro Blasetti, considerato il capostipite del genere, e nel pieno del fiorire del filone “leggero” e “balneare” inaugurato verso la fine del decennio precedente, riplasma e ridefinisce quasi con violenza non solo i codici del film “a sketch” sino a quel momento canonici, ma dà probabilmente l’abbrivio definitivo a quella commedia all’italiana “moderna” già parzialmente costruita con I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli.

Un collettore di umori popolari in cui la forma del prodotto commerciale di “evasione” iniziava a mutare per contenere al contempo le caratteristiche di osservatorio impietoso, critico, satirico, sociologico e antropologico dell’Italia coeva (e futura). Uno strumento analitico in grado di cogliere con le armi di un’ironia feroce e disincantata tutte le contraddizioni e le confusioni (etiche e teoriche) della transizione e del mutamento radicale dei costumi del Belpaese del Boom economico; ma soprattutto della mutata forma mentis dei singoli italiani, avviati verso l’incarognimento dall’incapacità di rapportarsi con i falsi miti della modernità e da un appiattimento intellettuale e sociale trasversale ai ceti, ai credo e alle ideologie.

Chi sono i “mostri”? Tutti. Chiunque, a qualunque livello di cinismo più o meno consapevole, di narcisismo patologico, di insensibilità ed egoismo, di prevaricazione giustificata dal censo o dalla posizione sociale, senza distinzione fra straccioni e (piccolo)borghesi, tra colti e ignoranti, tra fortunati e sfortunati. Insieme o separatamente, Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi (entrambi ai livelli più alti delle loro possibilità interpretative e trasformistiche) danno qui vita a una parata indimenticabile di personaggi caratterizzati da più o meno evidenti aberrazioni del senso morale, più o meno ambigue interpretazioni “personali” di concetti come responsabilità, etica, legalità, senso civico, diritto e dovere. Tutti i frammenti sono disgiunti tra loro ma accomunati, simbolicamente, dall’ambientazione nella Roma dei moderni quartieri residenziali, teatro della transizione nel benessere del dopoguerra; una scelta che tiene insieme l’intero film con una sorta di unitarietà invisibile e “superiore”, a tratti quasi metafisica.

In un crescendo inquietante per varietà funzionale di registri e di ritmo, si passa così da L’educazione sentimentale dove Tognazzi cerca di trasmettere al figlioletto (il vero figlio di Ugo, Ricky, all’epoca settenne) la nobile arte della furbizia spicciola con esiti -in futuro- devastanti a La raccomandazione, dove Gassman è un attore di fama del tutto disinteressato malgrado le apparenze ad aiutare davvero un collega in crisi; da Come un padre, dove un Tognazzi ambiguo cerca di convincere un giovane sposo (Lando Buzzanca) che i sospettati tradimenti della moglie sono solo frutto della sua immaginazione, a Che vitaccia! in cui il baraccato Gassman piange miseria sostenendo di non potersi permettere nemmeno le cure per le figlie malate ma poi usa i soldi per andare allo stadio. Da I due orfanelli, in cui un chirurgo si offre disinteressatamente di operare e guarire il mendicante cieco sfruttato dall’accattone Gassman che però mente al compare sulle intenzioni del luminare per non perdere la sua “fonte di guadagno”, a Scenda l’oblio, dove assistendo al cinema alla cruda sequenza di un massacro nazista il marito Tognazzi prende il muro di fronte al quale si consuma l’eccidio come modello per costruirne uno analogo nella sua villa; da L’oppio dei popoli, dove un Tognazzi (già) teledipendente non si accorge che la moglie (Michèle Mercier) lo tradisce con l’amante nel letto di casa mentre lui è ipnotizzato dai programmi serali del piccolo schermo, fino al conclusivo, tragico, indimenticabile La nobile arte in cui un manager a sua volta ex pugile (Tognazzi) convince un boxeur suonato (Gassman) a tornare sul ring. Con esiti drammatici.

Ma, nel corso della visione, Gassman è anche (in Presa dalla vita) un regista che cinicamente “coinvolge” nel suo film comparse prelevate dalla strada, un avvocato senza scrupoli (in Testimone volontario) che annichilisce un privato cittadino (Tognazzi) presentatosi spontaneamente in tribunale per rilasciare una deposizione forse risolutoria in un caso d’omicidio, la presidentessa (en travesti!) di un concorso letterario (in La musa) che riesce a far premiare il suo amante scrittore incapace e un prete (in Il testamento di Francesco) che dovrebbe predicare contro la vanità in una trasmissione tv ma che prima di andare in onda non ha fatto altro che tormentare il suo truccatore per risultare il più fotogenico possibile. E Tognazzi (in L’agguato) un vigile che si apposta per multare gli automobilisti, un militarino veneto (in Il povero soldato) che svende alla stampa il diario della sorella prostituta fingendosi all’oscuro della sua professione, un padre di famiglia (in “Vernissage”) che firmata l‘ultima cambiale per una Seicento ci va poi a mignotte sul Lungotevere.

E non è finita. Il campionario di maschere, tutte a loro modo dolenti, malgrado la possibilità frequente di ridere a denti stretti, è densissimo; e costituirà il modello inconscio della commedia “svuotata” e televisiva degli anni Ottanta o dei cinepanettoni del decennio successivo (e oltre). Ma nessun altro film italiano ha mai meglio fotografato in un unicum così lucido e nitido il ridicolo squallore dei protagonisti di un contemporaneo “infinito”. Nato come un progetto scritto da Age e Scarpelli e prodotto da Dino De Laurentiis per la regia di Elio Petri in cui Alberto Sordi avrebbe dovuto essere protagonista di ogni episodio, “I mostri” finì col passare a Mario Cecchi Gori che lo affidò a Dino Risi affiancando agli sceneggiatori originali Ettore Scola e Ruggero Maccari. Petri girò invece con Sordi (sostituendo proprio Dino Risi) Il maestro di Vigevano; e una vecchia leggenda di Cinecittà dice che De Laurentiis, impaurito dalla militanza di Petri, ci litigò fino ad abbandonare il colpo esortando quello che poi diventò uno dei maggiori registi “politici” del cinema degli anni Settanta a farsi produrre il film “direttamente da Togliatti”.

Vero o meno che sia l’aneddoto, il risultato della versione-Risi non fu meno rilevante né paradossalmente meno ideologicamente connotato: “Risi sfodera le unghie affilate del suo “cinismo”. Che è solo il cinismo di chi gli occhi li usa per guardare e vedere, e non li copre con il velo della censura o delle buone intenzioni ideologiche. Il cinismo della verità, che non ha riguardi per nessuno. […] I mostri non salva niente e nessuno e si beffa di tutti, ricchi e poveri, borghesi e sottoproletari, intellettuali e illetterati. Tutti colpevoli, tutti condannati perché accomunati dalla stessa corsa velleitaria mistificatoria e millantatrice all’abbraccio infernale di falsi valori.” [Paolo D’Agostini]. Un capolavoro, che non è invecchiato di un giorno e non invecchierà mai. E che ha avuto epigoni sterminati, ma solo due diretti discendenti “ufficiali”: il pregevolissimo ma oggi più datato (e impossibile da reperire nella sua forma integrale) I nuovi mostri (1977), ancora diretto da Risi con Mario Monicelli ed Ettore Scola; e l’impresentabile, sfrontato e ai confini del sacrilego (ma anche rivelatore dell’inaridimento progressivo e inesorabile di un cinema che un tempo, anche a questi livelli “popolari”, era tra i migliori del mondo) I mostri oggi (2009), ultima regia di Enrico Oldoini.

31 ottobre 2023 (modifica il 31 ottobre 2023 | 07:04)



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Marc Valldeperez

Soy el administrador de marcahora.xyz y también un redactor deportivo. Apasionado por el deporte y su historia. Fanático de todas las disciplinas, especialmente el fútbol, el boxeo y las MMA. Encargado de escribir previas de muchos deportes, como boxeo, fútbol, NBA, deportes de motor y otros.

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